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MUSEO DELLA PESCA DEL LITORALE TRIESTINO

Il Museo della pesca del litorale triestino –  in sloveno Ribiški muzej tržaškega primorja –  è stato fondato nel 2000, assieme all’omonima Associazione culturale, e inaugurato nel 2016. Il museo va a colmare un vuoto tematico lasciato dalle altre istituzioni ed è dedicato alla storia del rapporto che gli sloveni, che vivono su questo territorio fin dal IX secolo, avevano ed hanno con il mare. Di fatto fino al secondo dopoguerra la quasi totalità della popolazione rurale della provincia di Trieste era di lingua slovena.
Per secoli, gli sloveni dei villaggi costieri scendevano dal Carso, a ca. 200 m s. l. m., fino al mare, percorrendo i sentieri tra le terrazze coltivate a vigna e ulivi. Date le caratteristiche orografiche di questo territorio, hanno sviluppato attrezzature e tecniche di pesca uniche nel loro genere.
Da Barkovlje – Barcola fino a Devin – Duino, passando per Kontovel – Contovello, Križ – Santa Croce e Nabrežina – Aurisina, l’attività è rimasta vitale fino al secondo dopoguerra. Fino alla fine del XIX secolo la pesca e la coltivazione di frutti di mare erano diffuse anche a Žavlje – Zaule e Škedenj – Servola. Nel solo abitato di Santa Croce si contavano nella prima metà del XX secolo ben 200 pescatori di professione, mentre in tutti i paesi interessati erano registrate per l’attività della pesca ben 450 imbarcazioni di varia stazza. Il legame con il mare diede origine a numerosi altri mestieri: i ragazzi di Contovello intrapresero il mestiere di palombaro, a Barcola si forniva la zavorra alle navi, a Duino nel 1867 nacque la prima fabbrica di conserve e più tardi anche un retificio.
Il settore della pesca subì un duro colpo negli anni ‘50 del XX secolo, quando nel Golfo di Trieste vennero a mancare i banchi di tonno. Proprio nello stesso periodo, grazie alle sovvenzioni statali aumentò il numero di pescherecci presenti nel Golfo. Ciò portò ad un progressivo abbandono della pesca professionale. Nonostante tutto, i tradizionali legami che gli abitanti di questi villaggi hanno avuto con il mare, portarono numerosi giovani ad intraprendere le più svariate professioni nel settore marittimo.

Lo zoppolo
Uno degli elementi più caratteristici della pesca sul litorale triestino è stato l’uso prolungato, sino al XX secolo, delle tradizionali piroghe in legno, dette zoppoli o in sloveno čupe. Questo tipo molto arcaico di imbarcazione, in uso nelle acque dolci già nell’antichità e nel medio evo, è stato mantenuto a lungo a Trieste a causa della mancanza di porticcioli e mandracchi in cui ormeggiare i natanti. Lo zoppolo presentava il vantaggio di poter essere tirato a secco senza che le manovre lo danneggiassero. Quando le autorità, verso la metà del XIX secolo, accolsero alle continue richieste dei pescatori e li aiutarono a costruire dei porticcioli, gli zoppoli furono immediatamente sostituiti con barche a vela, in genere topi e bragozzi. Gli ultimi zoppoli restarono in uso fino al 1947, nella caratteristica baia di Canovella degli Zoppoli, dove il porticciolo i pescatori di Aurisina venne costruito appena nel 1952.

La pesca al tonno
Il tonno rappresenta tuttora una delle varietà di pesce più remunerative per l’industria della pesca. Nel corso dei secoli, i pescatori sloveni che vivevano sul Carso elaborarono una particolare tecnica per la pesca dei banchi di tonno che a fine estate arrivavano nel Nord Adriatico, passando vicino alle coste del golfo di Trieste. I pescatori riuscivano a sfruttare la particolare orografia della loro costa, appostando delle vedette a ca. 150 m sopra il livello del mare. Contemporaneamente, un equipaggio di pescatori rimaneva in attesa sulla barca, a riva. Le vedette avevano il compito di scorgere da lontano i banchi di tonno e di guidare la barca gridando degli specifici comandi, in modo che i pescatori potessero circuirli con una lunghissima rete di 500 m. Quindi, con l’aiuto dei compaesani, la rete veniva tratta a riva e il pesce veniva afferrato con le mani e buttato sulla ghiaia. La pesca del tonno era un evento spettacolare che attirava la curiosità di tutta la popolazione e rappresentava l’attività economica più importante di questi villaggi. La tradizione si interruppe a metà degli anni ‘50 del XX secolo, quando le flotte dell’Adriatico centrale e meridionale si modernizzarono e i banchi di tonno non riuscirono più a raggiungere il golfo di Trieste.

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